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Giurista denuncia 'finzione giuridica' nel decreto che limita la cittadinanza italiana

L'articolo denuncia l'incostituzionalità del decreto che limita la cittadinanza italiana e mette in guardia contro una minaccia alla certezza del diritto.

Giurista sostiene che il decreto rappresenta l'“omicidio” dello jure sanguinis, fondamento della cittadinanza italiana | Foto: LinkedIn/Rui Badaró
Giurista sostiene che il decreto rappresenta l'“omicidio” dello jure sanguinis, fondamento della cittadinanza italiana | Foto: LinkedIn/Rui Badaró

Pubblicato in Consulente legale (Conjur), il portale legale più influente del Brasile, l'articolo del giurista Rui Badaro dichiara incostituzionale il decreto del Governo italiano che impone nuove restrizioni alla cittadinanza per discendenza.

Conjur riceve circa 7 milioni di visite mensili ed è un punto di riferimento nelle analisi giuridiche specializzate.

Nel testo Badaró afferma che il Decreto Legge n. 36/2025, firmato dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, emesso la sera del 28 marzo, rappresenta una rottura con la tradizione giuridica italiana.

“Che cosa è questo decreto se non l’assassinio del padre legale di Cittadinanza italiana — il principio di jus sanguinis?”, chiede.

“Si fa beffe della certezza del diritto”

Secondo il giurista, la misura impone una finzione giuridica indifendibile dichiarando che alcuni discendenti “non hanno mai acquisito” la cittadinanza, nonostante i loro diritti fossero stati precedentemente riconosciuti.

Per lui la norma viola i principi fondamentali del diritto e costituisce un tentativo di “negare, attraverso mezzi normativi, un fatto giuridico già consolidato”.

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Uno dei passaggi più convincenti dell'articolo afferma che il governo è “prendere in giro la certezza del diritto”, fissando la scadenza al giorno 27 marzo 2025, prima della pubblicazione del decreto stesso. “È una situazione legalmente impossibile”, avverte l’autore.

“Decreti urgenti o finzioni legali”

Badaró critica l'adozione di uno strumento urgente per modificare i diritti consolidati. “La crisi d’identità dello Stato italiano non si risolverà con decreti d'urgenza o finzioni legali, ma richiede un ampio dibattito sul significato della cittadinanza in tempi di globalizzazione."

Il decreto limita il riconoscimento della cittadinanza a casi molto specifici, escludendo nipoti e pronipoti di italiani senza una chiara giustificazione. Impone inoltre restrizioni alla produzione di prove nei procedimenti di riconoscimento, rendendo difficile l'accesso alla giustizia.

“L’italianità non può essere definita per decreto”

Alla fine dell'articolo il giurista afferma che il testo costituzionale italiano non può essere manipolato da interessi politici momentanei. "IL L'italianità costituzionale non può essere definita per decreto, ma deve emergere da un dialogo continuo tra cittadini, istituzioni e diverse comunità.”

L'articolo evidenzia inoltre che il decreto contraddice i principi fondamentali della Costituzione italiana, standard di Diritto europeo e degli impegni internazionali assunti dall’Italia.

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Opinione

La morte annunciata dello jus sanguinis e l'esilio costituzionale dei discendenti italiani

3 aprile 2025

L'ermeneutica giuridica non è mai stata così bistrattata. Nel cuore della notte del 28 marzo 2025, il governo Meloni ha emanato il decreto-legge n. 36/2025, perpetrando non solo una rottura con la tradizione giuridica italiana, ma un autentico “parricidio normativo”. Ora, cos'è questo decreto se non l'omicidio del padre legale della Cittadinanza italiana — il principio di jus sanguinis che hanno definito l'identità giuridica degli italiani per più di un secolo?

Non siamo di fronte ad aggiustamenti tecnico-procedurali, ma a una vera e propria rivoluzione paradigmatica imposta senza una transizione democratica. Si tratta di una rottura unilaterale del patto tacito tra l’Italia e la sua diaspora, quello che teneva uniti gli italiani della penisola e i discendenti della grande emigrazione storica dal vincolo giuridico della cittadinanza.

Triangolo contestuale: demografia, nazionalismo e securitizzazione

Non c'è interpretazione senza precomprensione, ci ricorda sempre Lenio Streck nei suoi vari testi pubblicati in evocare e nei suoi libri. E la pre-comprensione di questo decreto è ancorata a un triangolo contestuale che deve essere reso esplicito: la crisi demografica europea (l'“inverno demografico”), il neo-nazionalismo politico e l'ossessione contemporanea per la sicurezza.

L'Italia si trova ad affrontare un invecchiamento della popolazione, un basso tasso di fertilità e l'ascesa di un governo di matrice nazionalista-identitaria che cerca di ridefinire l'appartenenza nazionale in termini di esclusione. L'amministrazione Meloni, con la sua retorica di “Prima gli italiani”, trasforma la cittadinanza in una questione di sicurezza nazionale, subordinando i diritti fondamentali a considerazioni politiche contingenti.

Stiamo assistendo ad una metamorfosi costituzionale silenziosa: il passaggio da una concezione della cittadinanza basata sull’eredità di sangue (jus sanguinis) ad un altro basato sul controllo territoriale (ius territorialitatis). Questa transizione non avviene attraverso i mezzi costituzionalmente appropriati, bensì attraverso uno strumento eccezionale che dovrebbe essere utilizzato solo in situazioni di emergenza.

La finzione giuridica della “non acquisizione retroattiva”: sofisma normativo

Il nucleo operativo del decreto è rinvenibile nell'articolo 1, che inserisce nella legge n. 3/91 il nuovo articolo 1992-bis. XNUMX/XNUMX, stabilendo che:

“chiunque sia nato all’estero anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo e sia titolare di altra cittadinanza si considera come se non avesse mai acquistato la cittadinanza italiana…”

Questa costruzione linguistica nasconde una profonda contraddizione performativa. Stabilendo che determinate persone siano “considerate come non aver mai acquisito” uno status che, secondo l’interpretazione giuridica consolidata, già possedevano, il decreto tenta di aggirare il divieto di retroattività dannosa attraverso una finzione giuridica indifendibile.

Ora, una norma giuridica non può avere valore retroattivo per negare l'esistenza di fatti giuridici già consumati sotto l'egida del precedente ordinamento. Affermando che certe persone “non hanno mai acquisito” una cittadinanza che era già stata loro riconosciuta, il decreto incorre in una contraddizione normativa: nel tentativo di negare, con mezzi normativi, un fatto giuridico già consolidato dal sistema stesso.

Scadenza: parossismo di sproporzionalità

Il decreto fissa il termine per la presentazione delle istanze amministrative o giudiziarie al 27 marzo 2025 (entro le ore 23:59), data antecedente alla pubblicazione del decreto stesso. Un'analisi che farebbe anche uno studente di giurisprudenza al primo anno dimostra che questa previsione non soddisfa tutti i criteri di proporzionalità:

  1. Non è appropriato, poiché stabilisce una scadenza che è già stata superata al momento della pubblicazione della norma, creando una situazione giuridicamente impossibile;
  2. Non è necessario, poiché gli obiettivi amministrativi potrebbero essere raggiunti entro un periodo di tempo ragionevole dopo la pubblicazione del decreto;
  3. Non è proporzionale in senso stretto, poiché il sacrificio imposto ai diritti individuali è palesemente eccessivo.

Anche in situazioni estreme, come i conflitti territoriali, le scadenze per la scelta della nazionalità vengono solitamente conteggiate in mesi o anni, non retroattivamente. Ciò non è semplicemente sproporzionato: è lo Stato che si prende gioco sfacciatamente della certezza del diritto, creando una norma con effetti praticamente istantanei e retroattivi.

Eccezioni alla regola generale: insufficienza e arbitrarietà

Le eccezioni al decreto (domande già presentate entro il termine del 27 marzo 2025; figli di cittadini italiani nativi; figli di soggetti residenti in Italia da due anni; nipoti di nonni nati in Italia) sono palesemente insufficienti e arbitrarie.

Non vi è alcuna giustificazione sostanziale per limitare il riconoscimento ai figli dei nati in Italia ma non ai pronipoti; o richiedere due anni continuativi di residenza dei genitori, non uno o tre. Tali distinzioni creano un sistema di privilegi ed esclusioni che sarebbe difficile da sostenere in caso di controllo della proporzionalità.

Restrizioni probatorie: l’insormontabile barriera procedurale

Il decreto modifica il regime probatorio degli atti di riconoscimento, escludendo la prova testimoniale e il giuramento, oltre ad imporre al richiedente l'onere di provare i fatti negativi, ovvero l'inesistenza di cause di perdita della cittadinanza.

Questa inversione costituisce ciò che chiamiamo “probatio diabolica” — la prova impossibile. Come possiamo dimostrare la non esistenza di un fatto? Come possiamo provare che qualcosa non è accaduto? Questo requisito viola il principio di parità delle armi nel processo e crea uno squilibrio ingiustificato a favore dello Stato.

Molteplici incostituzionalità del decreto

Il decreto si scontra direttamente con alcuni principi fondamentali:

  1. Principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione italiana): Discriminando i discendenti degli italiani unicamente in base al luogo di nascita, il decreto stabilisce un criterio arbitrario di differenziazione.
  2. Principio di solidarietà (articolo 2): La brusca rottura dei legami con i discendenti degli emigranti contraddice la dimensione intergenerazionale di questo principio strutturante.
  3. Principio di tutela dell’identità culturale (artt. 6 e 9): L’italianità della diaspora costituisce un patrimonio culturale che lo Stato deve tutelare e non estinguere.
  4. Principio di proporzionalità: le restrizioni imposte non superano manifestamente il test di adeguatezza, necessità e proporzionalità.

A livello europeo, il decreto viola i limiti alla discrezionalità statale in materia di nazionalità stabiliti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nei casi Micheletti e Rottmann, compromettendo l’effettività della cittadinanza europea come status fondamentale.

Nel contesto internazionale, il decreto si avvicina pericolosamente al divieto di privazione arbitraria della nazionalità, protetto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, e viola il principio delle legittime aspettative.

Tra sangue versato e speranza costituzionale

Ciò che emerge, al di là del dibattito tecnico-giuridico, è una profonda crisi d’identità dello Stato italiano, che oscilla tra la sua eredità di “patria allargata” e le sue contemporanee aspirazioni di “fortezza territoriale”. Questa crisi non si risolverà con decreti d'urgenza o finzioni giuridiche, ma richiede un ampio dibattito sul significato della cittadinanza in tempi di globalizzazione.

La Costituzione non è solo un testo normativo, ma un processo culturale vivo. L’“italianità costituzionale” non può essere definita per decreto, ma deve emergere da un dialogo continuo tra cittadini, istituzioni e diverse comunità.

Per i milioni di discendenti che ora vedono a rischio il loro legame giuridico con la terra dei loro antenati, resta la speranza che la solida tradizione costituzionale italiana ed europea prevalga sull'opportunismo politico del momento. Che il sangue italiano, metafora di un legame che trascende confini e generazioni, non venga versato sull’altare del nazionalismo territoriale. Che la promessa di un’Italia plurale, solidale e aperta al mondo non venga sacrificata da un decreto che, nella sua fretta e sproporzione, tradisce lo spirito stesso della Costituzione.

E quello. Dov'è la Costituzione in questo decreto? Come direbbe Lenio Streck (credo, io!): dov'è Wally?"

Rui Badaro È avvocato, professore universitario e ha conseguito un dottorato di ricerca in diritto internazionale presso l'Universidad Católica de Santa Fe.

Originariamente pubblicato in conjur.com.br

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